A Roma un gruppo di nove uomini, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato politico la cui richiesta è stata già accolta, ha iniziato a dare vita alla plastica scartata e gettata nelle strade della Capitale rendendola, sotto diversa forma, nuovamente utile.
REFUGEE scART è nato grazie a un’idea di Marichia Simcik, fondatrice della Spiral Foundation, che ha voluto allargare l’operato della sua ONG all’Italia dopo aver visto, la scorsa primavera, le immagini delle terribili condizioni riservate ai giovani scappati dalla dittatura e sbarcati a Lampedusa.
“Il primo giorno che abbiamo incontrato Marichia lei ci ha mostrato oggetti fatti con materiali di scarto proponendoci di inventarne altri insieme. Non ci ha promesso uno stipendio mensile ma un’attività da svolgere insieme. Io ho accettato di essere parte del laboratorio soprattutto perché avrei potuto imparare. E poi perché così non avrei più girato tutto il giorno intorno a Stazione Termini.”
Dal mese di agosto 2011 questi ragazzi, provenienti da diversi Paesi dell’Africa Occidentale, collaborano per portare avanti il progetto. Ogni giorno raccolgono la plastica che trovano durante i loro percorsi e, nel laboratorio, la ritagliano in sottili strisce di diversi colori prima di ricompattarla in un tessuto che ritagliano e cuciono a seconda dell’estro creativo.
“All’inizio ero titubante. Non avrei pensato che qualcosa proveniente dai rifiuti potesse piacere invece non è stato così. Gli oggetti piacciono molto. Questo mi spinge a stimolare la fantasia e continuare a creare. E poi niente è comprato, tutto recuperato tra i rifiuti e con un po’ di impegno rinasce a nuova vita. È bello vedere questo.”
“Non vogliamo vivere di carità e neanche di assistenza. Siamo uomini con una lunga storia e una grande dignità. Quando mi è stata presentata quest’idea ho pensato che non poteva essere per me. Io non sono mica venuto in Italia per partecipare a un progetto di sostentamento! Io sono sarto, ho fatto questo mestiere per trent’anni prima di scappare dal mio Paese di origine. Sono un padre di famiglia, mia moglie e i miei figli sono rimasti là. Mi è stato riconosciuto il diritto di asilo. In Italia sono rifugiato. Qui ho diritto di vivere e qui devo lavorare per sostenere me e i miei cari in attesa di tempi migliori. Che vuol dire allora questo progetto?, pensavo. Nonostante questo lo trovai molto interessante, perciò decisi di coinvolgere amici in attesa dei documenti. Io ho frequentato già due corsi di lingua italiana, penso che sia la conoscenza più importante per potermi inserire qui. Ora sto frequentando corsi professionali anche se trovare un lavoro in Italia in questo momento è critico. Ma non mi spaventano le difficoltà, ho fatto tanta strada e posso riuscire, lo spero, se Dio vuole. Nel frattempo però ho deciso di portare avanti questo progetto, ci dedico molta energia e tempo perché mi garantisce un piccolo reddito ed è un percorso in cui credo molto.”
Così buste, contenitori e bottiglie, di plastica e di cartone, camere d’aria di biciclette diventano oggetti utili come cartoline, cartelle, segnalibri, borse, cesti, astucci, grembiuli da cucina e da giardino, vassoi, cornici, decorazioni, maschere, targhette per le valigie e vari accessori, tutti rigorosamente coloratissimi.
“Io sono entrato nel progetto da poco. Mi ha portato un amico, ho visto il laboratorio e mi è piaciuto. Si lavora in gruppo, con persone che vengono da Paesi diversi ma che hanno una storia simile alla mia, sia in Africa che in Italia. Io sto in un centro e alle 9 bisogna andare fuori. Ogni giorno, con il bello e con il brutto tempo, se stai bene e se se sei malato, alle 9 fuori. Devi uscire e non tornare prima delle 16, quando puoi rientrare in quella stanza che non è per te ma che dividi con altre cinque persone. E allora che fare? Tutta la giornata a stazione Termini, aspettando che il tempo passi tra l’indifferenza o la paura delle persone che camminano.”
“Stare senza fare niente è umiliante. Se sto fermo non faccio altro che pensare a ciò che mi sono lasciato dietro, questo fa male. Qui sto bene, tengo impegnata la mente e faccio qualcosa di utile, posso anche guadagnare qualcosa per le piccole spese. La speranza è che un giorno possa diventare una professione.”
Contenti di poter esporre i loro prodotti artistici, i ragazzi hanno trovato punti vendita in diversi negozi della città, partecipano a iniziative sociali e organizzano mercati le domeniche o nei periodi festivi. Il ricavato va interamente a loro, in quanto il materiale non necessita di nessuna spesa, e attualmente garantisce un micro reddito per sostenere le necessità quotidiane; sperando che un giorno, venendo riconosciuto il grande valore di quest’attività, il lavoro si ampli tanto da poter assicurare un valido sostegno alle famiglie e un miglioramento per la comunità tutta.
“Noi contribuiamo alla pulizia di Roma raccogliendo ogni giorno la plastica che viene buttata! In sei mesi abbiamo riciclato più di 1500 chili di plastica, circa 250 chili al mese. In questo modo partecipiamo al benessere della città, pulendola e permettendo anche un risparmio all’amministrazione. Il nostro lavoro è una maniera di ringraziare questo Paese che ci ospita, per dirlo come il poeta senegalese Senghor “un rendez-vous du donner et du recevoir”.
Fino ad oggi c’è una strana somiglianza tra il destino riservato a questi ragazzi e quello della plastica che così sapientemente maneggiano. Anche i rifugiati sono buttati agli angoli delle stazioni, abbandonati ai margini delle città, ammassati in appositi centri come fossero vite di scarto. L’Italia ha il dovere di offrire protezione e una vita dignitosa a coloro che si lasciano alle spalle violenza, guerre e povertà; questo è ben diverso dal principio, seppur sacro, dell’ospitalità. L’ospite è una figura di passaggio, un esterno che per un periodo di tempo limitato è accolto all’interno di un nucleo definito ma che prima o poi deve lasciare il campo. I rifugiati, e molte delle persone che arrivano in questo Paese, separandosi da beni e affetti più cari, si trovano nella non sempre facile condizione del rinascere ad altra vita in una terra che è la loro nuova casa.
REFUGEE scART è emblematico di quanto il dare e il ricevere siano la base della relazione sociale. Questo progetto è infatti più di un laboratorio di riciclo, è una bella sfida. Quella di un’accoglienza che nasce dall’incontro gioioso tra le persone che, seppur portatrici di diverse modalità di concepire la vita, sono unite da una motivazione comune. Quella di una società in cui ciascuno cerca lo spazio per esprimere liberamente la propria personalità e, in collaborazione, contribuisce al benessere della collettività.
Esattamente la sfida quotidiana alla base del vivere insieme.
REFUGEE scART è svolto in collaborazione con le associazioni Laboratorio 53 e Centro Astalli, sotto il patrocinio dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati.
Il laboratorio ha sede a Roma nei locali dell’AMA a Piazzale dei Caduti della Montagnola 40. Per informazioni e contatti: The Spiral Foundation
Questo articolo ci è stato inviato dagli amici di Affrica.org, il sito con notizie, informazioni e approfondimenti sull’Africa.
Pubblicazione: 26/03/2012 – Ultimo aggiornamento: 26/03/2012
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